di Daniele Lo Porto
“La grande bellezza? Che noia!”, Enzo G. Castellari, regista di decine di film, dal fortunatissimo “Vado, l’ammazzo e torno” del filone spaghetti-western, ai polizieschi ed a quelli ispirati a Lo squalo, non si sottrae a un giudizio sul film che ha vinto l’Oscar.
“Ho visto la mia Roma ritratta al meglio nel film, che sembra più un documentario, ma non ci voleva molto: Roma è bella, bellissima, come la fotografia. Il protagonista è straordinario, con una misura incredibile nella recitazione. Ma non sono riuscito a seguire la sua storia. Un film che mi ha annoiato – aggiunge Castellari, a Catania, insieme all’attore George Hilton, protagonisti di un seminario sul western all’italiana, insieme al tecnico cinematografico Carlotta Bolognini, organizzato dal Centro studi laboratorio d’arte di Alfredo Lo Piero – anche se vorrei essere io al posto di Sorrentino ad aver ritirato l’Oscar. Credo, però, che sia un atto irriverente fare paragoni con maestri come Fellini”.
Castellari ha illustrato le tecniche di regia, ripresa e montaggio con esercitazioni pratiche che hanno coinvolto i partecipanti al seminario, che si è svolto nella sede di via Caronda.
Il regista, decine di pellicole all’attivo, ha parlato anche del suo prossimo progetto: una storia da girare nella Marche: un vecchio pugile che per pochi spiccioli prepara i bambini a combattere sul ring sui quali si scommette, come per i combattimenti tra galli. “Una storia dura, difficile. Mio padre era un pugile e mi diceva sempre che sul ring si impara la vita, a cominciare dal rispetto che si deve per il proprio avversario, chiunque egli sia”.
“Di pugni ne ho presi e dati tanti sul set – ha ricordato George Hilton -: ho rotto qualche dente, ma involontariamente. Girare un western è fatico e rischioso: a fine riprese mi ritrovato pieno di lividi e ferite. Ma è un genere che mi piace: sapevo cavalcare fin da ragazzo, sparare e, soprattutto, recitare perché avevo cominciato come attore di teatro. La recitazione era un aspetto che non sempre era adeguatamente curato perché si privilegiava l’azione. Oggi il cinema italiano è poco considerato e non ci sono opportunità per i giovani. Se un giovane attore arrivasse in Italia oggi non riuscirebbe a fare sette-otto film l’anno come successe a me. Probabilmente avrebbe difficoltà ad avere anche una sola scrittura”.
Carlotta Bolognini, figlia di Manolo, e nipote di Mauro, famiglia di cineasti da sempre, lavora come tecnico cinematografico e sta completando un debito d’amore nei confronti del padre: “A mio zio Mauro è stata dedicata tantissima attenzione, a mio padre, invece, di meno. A lui è dedicato il libro che sto scrivendo e che è l’occasione per parlare di oltre cinquanta anni di storia del cinema italiano”
“La Sicilia è marginale in tutti i contesti, da quello economico a quello artistico, ma noi vogliamo invertire questa realtà – ha sottolineato Alfredo Lo Piero, direttore artistico del Centro studi laboratorio d’arte, vogliamo formare qui i nostri talenti e promuovere una migrazione verso la Sicilia, non dalla Sicilia”.
Prossimo appuntamento al Centro studi laboratorio con il genere horror e con la sua massima espressione in Italia: Dario Argento.
(Daniele Lo Porto per Sicilia New Media 329 6605242)