Per il periodico Informa Sicilia di Roberta Renna *** ****
Il 21 novembre us. , nella saletta del bar Navarria a Lentini, si è tenuta un’interessantissima conferenza organizzata dall’associazione FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) presidentessa Alfina Libertini che ha visto relatore Rosario Mangiameli il quale ha illustrato la storia Italiana e Siciliana che coinvolse la popolazione nella prima guerra mondiale.
Tra il pubblico numeroso accorso alla conferenza erano presenti l’assessore Bruno Zagami, la past presidente distrettuale Lucia Emmi Mauceri , la presidentessa dell’Archeo Club di Lentini Maria Arisco oltre alle socie della FIDAPA.
Ad un secolo di distanza da questo tragico evento, e a settanta anni dalla fine della seconda guerra mondiale, si è ritenuto di dover parlare e riportare alla luce quelli che sono stati i fatti, le emozioni, le conseguenze e i cambiamenti di una guerra, durata trent’anni, che ha segnato il destino della nostra nazione e del mondo.
Oramai si tende a vedere la prima e la seconda guerra mondiale come un unica grande guerra. Si paragona la guerra dei trent’anni del 1600 a quelle del ‘900 sia perché fra la prima e la seconda guerra mondiale non vi è stato un lungo periodo di pace, sia perché, in un certo senso, sono state guerre di religione. Veri e propri scontri tra ideologie.
Tutto iniziò nell’anno 1914. Vi era un coacervo di stati senza una vera e propria unità nazionale. C’era chi voleva espandersi e chi voleva l’indipendenza.
La guerra scoppia in Europa ad Agosto , ma solo un anno dopo l’Italia vi entrerà.
Ci sono svariate motivazioni che concorrono alla nostra entrata in guerra “in ritardo”, spiega il prof. Mangiameli.
Intanto c’è da dire che l’Italia faceva parte, con l’impero Austroungarico e la Germania della Triplice Alleanza, ma non aveva reali interessi nell’entrare in guerra al fianco di quello che era il suo alleato, poichè anche noi, come tutti in Europa, avevamo i nostri interessi nei Balcani e questi si discostavano da quelli dell’Impero Asburgico.
In secondo luogo, all’interno dell’Italia stessa vi erano conflitti tra gli interventisti e i neutralisti.
I primi erano piccoli gruppi formati però dalla minoranza politicamente attiva della popolazione i secondi erano più ampi ma non particolarmente attivi.
Ma noi, in Sicilia, come la pensavamo? Ecco quello che non si trova nei normali libri di storia.
Il mezzogiorno era prevalentemente contrario alla guerra ed il motivo, più che essere un nobile ideale, erano le arance. Il fatto è, che le arance e anche il vino, erano il commercio più fruttuoso del meridione. In una società ancora prevalentemente rurale e povera, molto poco istruita e con ampie differenze sociali, la classe più ricca commerciava arancie con l’impero Asburgico. Trieste era il punto di snodo del commercio tra le nazioni dell’ Alleanza e conobbe un fiorente periodo che era però destinato a finire con l’avvento della guerra.
Ma la maggior parte della popolazione era spaventata all’idea di una guerra imminente, ma vi era tuttavia un pensiero comune tra gli intelletuali d’Europa e quelli dell’università di Catania, e cioè che la guerra fosse non solo utile, ma inevitabile.
Non vi erano state vere guerre da quelle Napoleoniche cento anni prima (solo le guerre di colonizzazione, che tra l’altro l’Italia perse entrambe). Vi era quindi una forte convinzione che la guerra avrebbe cambiato il mondo in meglio. Molti furono infatti gli intellettuali a partire volontari.
La chiesa era contraria ed anche i socialisti. Fra gli interventisti annoveriamo Benito Mussolini.
La maggior parte della popolazione emigrata non voleva la guerra per la paura di essere costretta a rientrare in patria.
Questa era la situazione.
Nel 1915 Giolitti si dimette. Il suo intento era quello di voler dare spessore alla sua scelta di non intervento, ma non fù così. Sale al governo Salandra e l’Italia anche a seguito di interventi popolari di piazza entra ufficialmente in guerra.
Con l’avvento di questo conflitto il nostro mondo cambia radicalmente.
Prima della guerra, da noi, a nessuno sarebbe venuto in mente di farsi una fotografia, ma ora ecco che, chi doveva partire per il militare, si faceva scattare una foto. La mentalità iniziava a cambiare.
Gli uomini sono al fronte, impegnati in una guerra di trincea logorante e massacrante. L’idea che la guerra sarebbe finita di lì a breve venne presto abbandonata, e solo chi riusciva a convertire la propria produzione e ad organizzare meglio la propria economia e a sfruttare le risorse del proprio paese avrebbe vinto. Tutti quei soldati al fronte avevano bisogno non solo di armi ma anche di vestiti, dai calzini alle giacche e di cibo. Ma mancano i giovani, gli uomini e i lavoratori. Ecco che la donna diventa improvvisamente una figura importante e fondamentale nella produzione. Le donne sostituiscono gli uomini in quasi tutti i campi possibili all’interno della macchina dello stato e non solo.
E’ interessante notare come cambia la figura della donna. I vestiti e la moda cambiano in funzione del fatto che le donne si devono poter muovere con più agilita. Famosa l’immagine della donna tranviere, con tailler e gonna stretta e a metà polpaccio e i capelli raccolti in un’acconciatura sotto il cappello.
La donna non stava più a casa a pulire e cucinare, o almeno non solo, la donna sostituiva l’uomo in tutte le attività possibili.
Ma nonostante ciò, molti campi e coltivazioni erano ormai lasciati al pascolo che era un’attività molto più semplice da mandare avanti rispetto all’agricoltura. Ci volevano meno braccia per badare ad una mandria rispetto a quelle che ci volevano per coltivare un terreno.
Queste cose portarono ad un’insoddisfazione generale. Gli uomini temevano di tornare a casa e non trovare più niente. Le donne temevano di vedersi ritornare allo stato precedente.
La risposta dello stato fu chiara. Le assicurazioni: Se morivi in guerra la tua famiglia poteva essere risarcita. E le promesse: “Se vinciamo vi diamo la terra.” e “Daremo alle madri dei caduti e alle vedove il diritto di voto” . Promesse che ovviamente non furono mai mantenute.
E arrivati al culmine del conflitto con una popolazione ormai indebolita e stremata perché meno sana e più affamata, ecco arrivare l’epidemia di spagnola. Una febbre particolarmente forte che causò 650 mila morti solo in Italia.
La belligeranza finì e noi avevamo vinto, ma quello che era restato erano 1.240.000 morti solo in Italia e una moltitudine di invalidi. Tuttavia era nato un senso di unità, di appartenenza ad una Nazione. Per anni individui che parlavano un dialetto diverso e venivano da luoghi diversi, avevano vissuto ed erano morti insieme. Ma non c’era solo questo. La gente che tornava dalla guerra era ormai abituata alla violenza. E fu infatti in questo calderone che si andò ad insediare il Fascismo che esplose poi nell’inaudita violenza della seconda guerra mondiale.
Quindi ecco, questo è stato il percorso magnificamente trattato dal relatore Rosario Mangiameli.
Una conferenza intensa, interessante, ricca di spunti su cui riflettere su quella che è stata La Grande Guerra e su quello che ha significato per l’Italia tutta.
Roberta Renna