Per il periodico Informa Sicilia di Nino Risuglia. *** **** *****
La tradizione e relativa prassi, delle quali riferisco in queste note, non sono figlie di una conoscenza e constatazione dello scrivente. Infatti non sapevo neanche che esse esistessero. Eppure, pare che siano esistite e sia siano estinte circa una settantina d’anni fa. Io ne ho sentito parlare pochissimo tempo fa da chi, a sua volta, ne aveva raccolto il racconto da un testimone diretto molto avanzato negli anni. Dunque, il mio è un riferire di “terza mano”.
Esso riguarda l’usanza, protrattasi nel tempo per molteplici anni, che si sarebbe concretizzata nel costellare la parete esterna della chiesa di S. Alfio, che da su via Garibaldi, in occasione delle celebrazioni annuali del santo Patrono, di una serie di numerosi gusci di chiocciole di varie dimensioni, in maniera tale da rappresentare figure o situazioni proprie in tema con le celebrazioni che si andavano ad effettuare.
Tale consuetudine era mantenuta, fino alla sua estinzione, attraverso l’opera di una confraternita, appositamente allo scopo opportunamente costituita ed organizzata costituita che, pare, si chiamasse Confraternita dei “crastuna”.
Essa operava tutto l’anno, impegnata: nella ricerca e preparazione della materia prima cioè i gusci di delle lumache; nell’ideazione della situazione o dei personaggi da rappresentare; nella rappresentazione, come detto, sulla parete esterna della chiesa, del soggetto prescelto.
C’è da dire che, i componenti dell’organizzazione, pur se essa era individuata come Confraternita dei crastuna, andavano alla ricerca dei gusci che appartenevano, non soltanto ai crastuna stessi, ma anche a vavaluci, ‘ntuppateddi, vaccareddi.
Infatti le diverse dimensioni e colorazioni dei vari gusci dei tipi di chiocciole menzionate erano funzionali al tipo di rappresentazione da effettuare. In verità, quando essi venivano collocati sulla parete di destinazione, durante il giorno ed alla luce del sole, apparivano quasi come una squallido spettacolo di gusci vuoti.
Il tutto, però cambiava aspetto, dopo l’imbrunire, quando venivano accesi gli stoppini immersi nell’olio che era stato preventivamente versato nei singoli gusci: era allora che apparivano le figure o le immagine predeterminate. Era a quel punto che la parete, prima portatrice di chiocciole prive di vita, si vivacizzavano, animando adeguatamente la parete opportunamente predisposta. Chi ha avuto la ventura di assistere a questa rappresentazione assicura che la suggestione era vivida.
Finita la celebrazione della festa, venivano rimossi i gusci vuoti per incominciare a pensare l’iniziativa per l’anno successivo. Sulla base di quanto esposto hanno incominciato a prendere corpo in noi delle domande che, in qualche misura potrebbero trovare risposta nella memoria di qualcuno che ancora la conservi su quanto ci è stato narrato, oppure negli archivi parrocchiali.
Non solo.
La nostra fantasia, non so quanto lontana dal vero, ha fatto un volo all’indietro nel tempo per immaginare la devozione che deve avere dato origine alla tradizione accennata; alla conseguente cura posta dai fedeli nella ricerca delle chiocciole più adatte alla bisogna; alle vivaci discussioni che si saranno articolate fra i componenti della Confraternita nella scelta dell’oggetto di volta in volta da rappresentare. Ci siamo chiesti anche il perché dei gusci di crastuna et similia.
Cosa poteva offrire una popolazione, non certo immersa nell’abbondanza di beni materiali, se non quello che la natura offriva, dopo averne utilizzato la parte commestibile? Ci piace, tuttavia, pensare che, anche l’offerta di questa povera cosa, era arricchita dalla devozione che la animava e dall’attenzione posta nella ricerca dei gusci migliori da dedicare al proprio Patrono. Se tutto ciò corrispondesse al vero, illazioni comprese, dovremmo riflettere sull’inutile lusso ed sulla vanitosa ostentazione con la quale spesso pensiamo di onorare i nostri Santi con iniziative delle quali essi farebbero volentieri a meno.
di Nino Risuglia