QUESITO:
Domenica mi apprestavo a salire in sella alla mia moto parcata sotto casa, ma mi accorgevo che era cosparsa di briciole. affacciata al balcone del primo piano, notavo una condomina che mi fissava. essendovi dei precedenti litigiosi, le chiedevo se sapesse qualcosa e con aria di sfida urlava al marito di raggiungermi “per sbrigarsela lui”. in effetti, il marito mi raggiungeva e nasceva un diverbio carico di ingiurie sfociato in aggressione.
RIPOSTA
Il caso descritto rientra tra gli screzi condominiali che, spesso, sfociano in fattispecie di reato.
Sin da subito, però, occorre precisare che l’ingiuria non è più prevista dalla legge come reato, ma come illecito civile giacché l’art. 594 c.p. è stato abrogato dal D.Lvo n. 7/2016.
Potrebbe essersi perpetrata la condotta di percosse, punita ai sensi dell’art. 581 c.p. a querela di parte, di competenza del Giudice di pace, altresì competente laddove dal descritto alterco sia scaturita la più grave lesione personale ex art. 582 c.p. dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente non superiore a 20 giorni: la condotta sarà punita – a querela di parte – con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Se la lesione personale risultasse aggravata da una delle circostanze descritte all’art. 583 c.p., sarebbe procedibile d’ufficio, con competenza del Tribunale monocratico se “grave” (reclusione da 3 a 7 anni) o collegiale se “gravissima” (reclusione da 6 a 12 anni).
In ultimo, nel caso in cui la condomina non si sia limitata ad istigare il marito (per la condotta di istigazione a delinquere vedasi art. 414 c.p.), ma abbia partecipato all’aggressione, si configurerebbe il delitto di rissa ex art. 588 c.p., procedibile d’ufficio innanzi al Tribunale collegiale che punisce con la multa fino a € 309 la mera partecipazione e, se taluno riporti una lesione, con la reclusione fino a 5 anni.
Avv. Marina Di Dio
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