“La Sibilla”. Vento di alchimia, antologia poetica internazionale della nota Scrittrice e Critico d’arte Melinda Miceli, come il poema di Dante attinge a un Modello antichissimo, attivo in molta letteratura antica e medioevale, il “viaggio sacro”, interiore dove una serie di prove iniziatiche si susseguono, secondo il modello archetipo del ciclo solare, dalle tenebre alla luce e viceversa.
Per fare questo, Dante chiede aiuto a Dio, perciò la Commedia è un libro «ispirato», scritto materialmente da Dante ma sotto la «dettatura» della grazia divina che lo ha incaricato di questo compito straordinario. La Commedia diventa quindi una sorta di sacro poema, al quale hanno collaborato e cielo e terra. Come Dante è guidato da Virgilio (sommo poeta latino che lo accompagna nell’Inferno e nel Purgatorio), Melinda Miceli personifica nella sua Sibilla, la Sophia, l’illuminazione che conduce verso luoghi alti l’iniziato permettendogli di attraversare tutti i misteri del cosmo.
Come il divino Poema dantesco riproposto da vari autori in numerose versioni artistiche e sceniche, la Sibilla è accompagnata da illustrazioni didascaliche citazioniste, come rimandi di simboli e ispirazioni alla poesia d’autore.
Dante introduce il tema lirico della luce nel terzo canto del Paradiso avente il significato allegorico della Grazia divina. Alla luce costante e crescente dei cieli del Paradiso si contrappone il buio eterno dell’ Inferno e l’ alternarsi di giorni e di notti nel Purgatorio.
Il viaggio allegorico che Dante compie nella Commedia è la conversione dell’uomo da uno stato di peccato ad uno stato di fede, ascendiendo dalla selva oscura ad una luminosa beatitudine.
Come Virgilio, Beatrice, S. Bernardo la Sibilla illumina l’ intelletto del viandante nel suo moto verso l’alto, e la visione di Dio. Virgilio (lumen naturale) rappresenta la luce naturale dell’ intelletto, la luce concessa ai filosofi a cui mancava la più elevata illuminazione della fede. La Sibilla è dunque la guida prescelta dalla Miceli ad assistere gli ultimi sforzi del viaggio dell’angelo bianco per superare le insidie del male e condurlo alla visione suprema della divinità.
Le immagini che ritraggono all’inizio la Sibilla e l’efebo ingannatore in quell’ apparire e scomparire di labili forme si traducono entrambe in una realtà rarefatta dove colori e forme sottolineano una fase di trapasso nella quale la figura umana ancora sopravvive prima di dileguarsi nei cieli avendo superato l’immanente e nebbiosa vita dai” vasti affanni”.
Non a caso come scrive il celebre autore inglese Darren Lorente Bull e il poeta Spagnolo Carlos Rascon: “Melinda Miceli si configura oggi come la reincarnazione dei più grandi poeti italiani, Dante, Foscolo, Virgilio, D’Annunzio, Leopardi”.
Ode a Virgilio. La duplice porta
Come nel giardino della morte
fossi stata trasportata
non lo so spiegare
ma i poeti un giorno
troveranno quello che
non fu un sogno;
che fui posta al crocevia
ell’Aldila’con l’anima curiosa
e non per inganno
ma estasiata.
Alla vicinanza di due porte
una di sinistra torbida,
profonda e aperta
l’altra di destra ombrosa e chiusa
da una cancellata,
stetti a osservare lo scenario arcano
quasi in altra dimensione risucchiata
su di una rupe che scrutava
un profondo burrone ammaliata.
Due venti soffiavano dalle porte:
uno tiepido da destra
e l’altro freddo a sinistra
che incrociandosi sul ponte,
avvolgendomi, mi facevano oscillare
dall’alto di quella ripida visuale.
Ero nell’ara del culto del Dio Giano
dove l’urna e il Sepolcro del Mago
rivestito dal Lauro selvatico
si era anteposto al dio pagano
inchino alla sua Divina natura
di poeta onnisciente e oracolare.
Sorse alla mia vista la presenza,
Virgilio mi condusse verso il sacro
portale dall’orientamento solare
avvolto nella sua Sapienza.
L’arco della grotta nera era
triangolare e buio all’estremo,
come l’atrio degli Inferi
marcio di zolfo, erbe secche
e nature putrescenti che
alludevano al mio sagace intento
che le interpretava ora
come foglie mosse dal vento.
L’arco quadro chiuso dal cancello
nel fitto dell’edera mi mostrava
il flusso di una lontana sorgente.
Sulla sua pietra gli occhi eterni
fissi e magici del Sapere
m’ invitavano ad entrare.
Era un percorso ostico e accidentato
nell’algida attesa e disincanto
di esser stato scelto e iniziato.
Il buio della porta Archiacuta
ancora col suo occulto freddo
errore nel mistero del vento,
quasi a voler spiegare che
l’inganno dell’enigma nero
fu li da sempre per tentare.
Si combattevano su di me
i due venti arcani
e su quel ponte alchemico
io mi lasciai attraversare
nello spirito e nei sensi.
L’edera sospirava leggera
e guardai il disegno del cielo
mentre un uccello planava
sulla volta celeste, leggero.
Chiusa a chiave era la porta quadra
ma celere decisi di entrare e
rimuovere la grande pietra.
Le foglie d’incanto divennero rosa
e all’ombra del mio resistere
una luce quell’oscurità trafisse.
Si schiuse la porta fermando il vento
tutto si arrese alla forza dell’Eliso.
Come Apollo cantando il suo amore
per Giacinto sulle sponde
del fiume Laconia,
Frigidus Horror repulsit mihi
chiamando onore, virtu’ e gloria,
d’incensi, mirti e lavande
fusione di celesti alchimie
spargendo l’aria di gelsomini.
La mia svolta nella beatitudine
in quella foresta dell’Eterno Sonno
era dettata dall’Essere superiore
per sua arcano e segreto richiamo.
Tancredi Filangeri