Una pluritematica disamina analitica permette di individuare la sovrapposizione dei due culti, ovvero quello pagano dell’eroe Hercules a quello cristiano di San Michele. Poiché le are Eraclee e i suoi templi furono trasformati in chiese cristiane il nome del paese Sant’Angelo Le Fratte è rivelatorio del suo presente legato a San Michele e del suo passato legato a Hercules che fu traslato dalla religione popolare nell’Arcangelo del Cristianesimo.
Dalle ipotesi storiche esistenti, il nome del paese in origine il nome era “Castrum Sancti Angeli de Fratis”, data l’appartenenza alla chiesa. Un’altra più accreditata si riallaccia alla forte devozione all’Arcangelo Michele, Patrono del paese. L’appellativo “le Fratte” inoltre deriverebbe dal participio passato passivo dal verbo latino “frango” (spaccare), in riferimento al fatto che il borgo nasce sotto la spaccatura rocciosa del monte Carpineto, evocativo della spaccatura che il guerriero celeste aprì con la Sua spada per ricacciare il Diavolo negli inferi, sita lungo lo Stivale d’Italia estesa dal Nord Europa a Gerusalemme attraverso la linea dei Santuari dedicati all’Arcangelo Michele. Anche lo stemma comunale è composto da uno scudo di colore azzurro, con al centro l’immagine di San Michele Arcangelo in veste bianca impugnante una spada, sovrastante il demonio. La Chiesa Madre dedicata a San Michele arcangelo e Santa Maria Nives risale al 1628, ristrutturata nel 1694, in seguito ad un terremoto, durante il periodo vescovile, ha svolto le funzioni di Cattedrale temporanea della Diocesi di Satriano. Pertanto siffatta chiesa madre di San Michele fu cattedrale e ciò attesta inequivocabilmemte la primaria rilevanza del ruolo di questo borgo in passato e la derivante presenza del culto di Hercules. Tra le statue presenti al suo interno quella di San Michele Arcangelo, Santo Patrono del borgo, dello scultore Nicola Fumo. Ancora la festa del Patrono San Michele Arcangelo si celebra ogni anno in due occasioni; il 29 settembre e nel giorno della penitenza, l’8 maggio, in memoria del sisma del 1857, quando i fedeli chiesero e ottennero la protezione dell’Arcangelo. A San Michele è dedicata una magnifica statua di marmo bianco che si staglia sul paesaggio descritto, elemento di congiunzione della linea micaelica che attraversa lo Stivale d’Italia. Attraverso la continua presenza della figura di San Michele troviamo il grande legame del territorio con Hercules, figura leggendaria della mitologia romana, versione italiana del culto dell’eroe greco Eracle, reso popolare presso il popolo sannitico dalla cultura etrusca, in particolare dalla colonia di Cuma, e presso i latini e i sabini da il culto di Ercole nell’impero romano. Non a caso i grandi santuari a lui dedicati erano collocati in zone di passaggio e di commercio, il capoluogo sannita di Pentra Bojano, nell’odierna Campochiaro, il tempio sabino di Tivoli, il percorso della transumanza dei bovini tra Lazio e Abruzzo, tra Marsica e Tavoliere. Decine le grotte dedicate a S. Michele Arcangelo o S. Angelo, sparse lungo il crinale appenninico, segnano la sovrapposizione del culto di San Michele su quello di Eracle, in riferimento ai precedenti riti rupestri
pagani. San Michele a riprova di questa tesi ha occupato molte grotte che la tradizione popolare aveva già catalogato “sacre” per via dei legami con i culti pagani precedenti.
Nella tarda antichità infatti molti siti religiosi furono dedicati all’Arcangelo Michele in varie regioni dell’Asia Minore, Egitto, Siria e Palestina, così come in Italia e poi in Europa. Ercole, il dio più venerato del mondo centro-meridionale, fu traslato nell’Arcangelo Michele, messaggero di Dio, guerriero e capo delle milizie celesti. La sovrapposizione tra i due personaggi fu facilitata da comuni fondamenti ideologici sia da somiglianze mitologiche. Con la diffusione del cristianesimo, ad Ercole – nel ruolo di divinità prediletta dal mondo pastorale centro-meridionale, subentrò l’Arcangelo Michele, un eroe cultuale come l’Ercole precristiano. Nella religione popolare l’Arcangelo è raffigurato come un santo giovane guerriero che uccide le forze maligne dell’Avversario in forma di drago.
L’analogia pittorica che collega le due divinità mostra che il culto di Ercole è rimasto pressoché intatto nella religione popolare trasferendo gli attributi dell’antica divinità all’Arcangelo Michele, che ha assunto la nuova cornice Rituale Cristiana. Testimonianze e tracce di riti di fertilità, culto della roccia e dell’acqua, e – come le suggestiva Grotte di S. Angelo che ancora sembrano narrare di riti e rituali che documentano funzioni religiose ininterrotte in questi ambienti per millenni all’interno di un continuum di culto grandioso, mistico e affascinante.
Erodoto scrive che riguardo la patria di Ercole, l’egiziano gli indicò la Fenicia. Asserisce che il sole si chiama Ercole o Eracle. Il poeta Nonno chiamò il dio del sole venerato dai Fenici “Hercules Astrochyton” cioè Ercole che indossa un mantello di stelle, è il simbolo dell’universo. La preghiera di Dioniso ad Ercole è opportunamente paragonata all’inno di Proclo al Sole. La corrispondenza tra Ercole e il Sole trova conferma nella metà degli inni, e nella celebrazione del dio come principio regolatore dell’anno e del giorno. Poiché Ercole inseguivai malvagi nella vita terrena e li trasformava in virtùosi, fu chiamato Alexiacus e Soter, o il Salvatore, chiamato anche il Buon Pastore Neulos Eumerus. Luciano ha commentato così: “Egli non cercò di sottomettere i popoli con la forza, ma con la divina sapienza e con la persuasione. Egli abolì i sacrifici umani dovunque li vide praticati. E descritto come benevolo verso l’umanità, e tuttavia spietato nel punire chiunque mancasse di rispetto al suo culto. Ercole divulgò la civiltà e una religione di mitezza, e distrusse la dottrina di una punizione eterna scacciando il triplice Cerbero dal mondo inferiore”. E ancora Ercole liberò Prometeo ponendo fine alla tortura inflittagli per la sua colpa, scendendo nell’Ade e aggirandosi nel Tartaro.
Ovidio racconta la morte di Ercole nelle Metamorfosi. Anche le fatiche di Ercole sono 12 come le stazioni del Rosario mariano e sono legate al calcolo del tempo dell’anno.
Sant’Angelo Le Fratte, in provincia di Potenza, Basilicata è uno scenografico borgo lucano di 1.500 abitanti che sorge su una collina da cui domina l’incantevole valle del Melandro. Questo comune è capofila di altri 36 comuni messi in rete, denominati BEL/Borghi Eccellenti Lucani e mostra l’esempio virtuoso dell’amministrazione del Sindaco Michele Laurino, rappresentando l’esempio di come ogni paese dovrebbe essere attento al valore dell’arte, della bellezza, dell’ordine, delle proprie tradizioni culturali verso una continua evoluzione. Il Comune insieme a Satriano di Lucania e a Savoia di Lucania, fa parte di quella che viene definita “La Valle più dipinta d’Italia”, la Valle del Melandro, che conta nel complesso oltre 400 murales. Il territorio ha il patrocinio di Wikipoesia per lo sviluppo di Premi ed eventi sulla Poesia e il paesaggio.
Un museo a cielo aperto dove monumenti di artisti locali, stregano anche i viaggiatori più esigenti. Immerso nel paesaggio di una natura incontaminata, ricca di sorgenti e coltivazioni di viti, uliveti e grano, il borgo ci conduce nell’atmosfera storica dei suoi vicoli e stradine, disseminati di preziosità artistiche come l’itinerario delle statue e delle chiese; opere d’arte sovrastate da un paesaggio sublime di montagna, riservato agli scalatori e agli angeli.
Dott.ssa Melinda Miceli critico d’arte
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