Per il periodico Informa Sicilia di Giuseppe Parisi (editoriale Aprile 2016)
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Ci sia consentito un commento al di là di ogni tipo di schieramento politico, da comune cittadino di questa Repubblica, di cui paghiamo le tasse e di cui rappresentiamo anche se per una parte modesta, paragonabile ad un granellino di sabbia nel grande mar Mediterraneo , quel “Popolo Sovrano” che permette a molti “profitteroll” di godersi la vita, alla grande, alla nostre spalle.
Fra i “profitteroll” annoveriamo senza se e senza ma, questo Governo, i vertici del Pd e delle altre forze politiche di sostegno fra cui l ‘N.C.D. e & e non per ultimo additiamo, sempre da cittadini e non ancora da sudditi, al pubblico ludibrio il Goveno della Regione Sicilia a Statuto Autonomo di cui tutti noi siciliani dovremmo vergognarci per loro, di esistere.
Scioglietevi e andatevene a casa tutti, di 90 ascari ben pasciuti e stipendiati e di uno Sciamano che li comanda tutti non ne abbiamo bisogno.
Parliamo del referendum sulle trivelle. Parliamo delle ”trivelle” in se. Parliamo dello sfruttamento del nostro territorio marino oltre a quello della Sicilia, senza che il nostro parlamento Siciliano abbia detto una parola, anzi qualcosa ha detto, leggete qua: “ l’ assessore regionale Maurizio Croce in merito a due nuove autorizzazioni di perforazioni in terra presentate dall’Enimed a Gela: << Queste devono essere autorizzate, fanno parte del protocollo Eni firmato nel 2014 per salvare i posti di lavoro della raffineria >>. Insomma, diciamo noi, la corsa all’oro nero nel sottosuolo siciliano è ripartita?
Questo parlamento Siciliano esiste ? Se si, faccia sentire la propria autonomia in fatto di territorio e altro, e non stia inclinato a 90 gradi con il potere di Roma.
Per chi non conosce l’argomento “trivelle” ne diamo subito una breve, ma speriamo chiara spiegazione.
Il fatto: Oggi in Italia non si possono ottenere permessi di ricerca o concessioni di estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa.
L’eccezione: Nelle aree “off limits” alcune società continuano le loro attività. Lo consente il comma 239 dell’articolo 1 della legge di Stabilità del 28 dicembre 2015, che permette a chi ha già ottenuto una concessione di rinnovarla continuando l’attività UDITE UDITE per la durata di vita del giacimento.
Considerazioni: Se prima le concessioni avevano una durata di 30 anni, prorogabile per periodi di 10 e 5 anni e i permessi di ricerca (anche questi prorogabili) di 6 anni, la legge di Stabilità ha decretato che i titoli già rilasciati non abbiano più scadenza.
Dal misfatto alla beffa: E’ data facoltà di costruire nuovi impianti entro le 12 miglia, se previsto nel programma delle concessioni già rilasciate . Se il giacimento può essere ancora sfruttato, infatti, le aziende potranno rinnovare gli impianti e aumentare la produzione estrattiva, chiedendo di portare a termine il programma anche con l’ausilio di nuove piattaforme e nuovi pozzi. ERGO: nuove trivelle.
Praticamente, fatta la legge, trovato l’inganno.
Sta accadendo in Sicilia, si proprio da noi, con il progetto della Vega B (è prevista la realizzazione dei primi 4 pozzi, a cui se ne aggiungeranno altri 8), che potrebbe sorgere all’interno della concessione per la Vega A. Situazione simile a quella di Rospo Mare, di fronte all’Abruzzo, per la quale si parla al momento di altri 4 pozzi.
Riportiamo in conclusione una dichiarazione pubblicata sul fatto Quotidiano che chiarisce e chiude, per quello che ci riguarda, l’intero argomento.
Inizia: Questo modus operandi, inoltre, ha anche un’altra spiegazione, tutta economica: le franchigie. Le società petrolifere, infatti, non pagano le royalties se producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di 50mila in mare. Ma rivendono tutto a prezzo pieno. E se si superano le soglie, ecco che scatta un’ulteriore detrazione di circa 40 euro a tonnellata. Morale: il 7% delle royalties viene pagato solo dopo le prime 50mila tonnellate di greggio estratto e neppure per intero. “Sistema comodo per le società, che possono mantenere in vita impianti da cui producono quantità modeste di petrolio”, spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Boraschi, responsabile della Campagna Energia e Clima di Greenpeace. Fine.
Andare al referendum è un diritto dovere di ogni cittadino che si esprime in libertà di coscienza al di la di ogni dettato “politico partitico” ma come la coscienza di ciascuno di noi crede e pensa di agire.
Allora, amici lettori, pensateci bene prima di disertare le urne.
Noi, ci andremo a votare e voteremo SI, perché amiamo la nostra terra e non altro.
Vi pare poco?
Giuseppe Parisi