******clicca qui per scaricare il file in PDF ( Speciale intervista al pittore ed illustratore catanese )
“E chi di un passato… in cui ..il moderno si sostanzia con l’antico, lo ingloba e lo trasforma. Lo contamina, lo ripensa, ne arricchisce i significati ormai archetipici”. Così DoraMarchese, Ricercatrice e Dottoressa in Filologia Moderna della Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Catania, scrive a proposito delle tele del pittore Benedetto Poma.
Il “seducente” artista catanese, approfittando di una pausa tra una mostra d’arte e l’altra, ha concesso a noi di InformaSicilia una speciale intervista in cui svela se stesso e rivela il significato quasi simbolico delle sue produzioni.
Qual è la Sua nascita artistica?
<<Sin da piccolo ero “artista” pur non essendone consapevole. Sentivo dei “moti dell’animo” irrazionali che mi spingevano a fare di ogni colore recuperato in casa “qualcosa di più” che un semplice scarabocchio infantile. Ad esempio, un ”gioco” da me molto amato era quello di preparare dei bicchieri con tempere colorate diluite e dei fogli bianchi stesi a terra; salire poi al primo piano di casa mia e “lanciare” il contenuto dei bicchieri sui fogli di sotto. Venivano fuori veri e propri capolavori , inconsciamente realizzati sulla scia del grande pittore statunitense Pollock: solo che ero un bimbo e non avevo mai sentito nemmeno parlare di questo artista… In generale ogni essere umano nasce con un innato “Δαίμων” (daimon),uno spirito guida, un angelo custode, che, per lo piùinconsciamente, ci allontana dal razionale e ci conduce all’arte: solo che non tutti sono pronti e seguire il “demone” anziché praticare la ragione del fare quotidiano. E’ difficile comunque, in questa lotta tra vita pratica e vita artistica, mantenere l’integrità propria seguendo e coltivando il proprio “talento”.>>
Come ha capito consciamente, dunque, di voler seguire il Suo “daimon”?
<<E’ come se colore, pittura, immagini mi venissero a trovare. Come se il mio modo di stare al mondo fosse legato alla “parola” data dal linguaggio figurativo. Mi ricordo, ad esempio, come, all’esame di quinta elementare, dopo una brevissima introduzione scritta al tema dato, lo avessi raffigurato con un disegno che ne sintetizzava perfettamente la traccia: nonostante la “bizzarria”, fui promosso! Allora ho compreso di essere un po’ “fuori dalle regole” e di aver scelto di seguire la traccia indicata dal mio daimon.>>
In che piano pone il linguaggio scritto ed il linguaggio figurato?
<<Nella preistoria, tra le tracce delle prime civiltà umane, troviamo delle impronte di mani: più che la parola già da allora l’uomo aveva destinato alle immagini una funzione prevalente per comunicare un’idea, un significato. Anche nella comunicazione gestuale emerge un valore superiore a quello scritto, se pensiamo ad una situazione in cui due individui siano di diversa etnia e ceppo linguistico. Di conseguenza, credo che bisognerebbe ridare maggiore peso al linguaggio visivo come primordiale significante di un messaggio.>>
Come possiamo definire il Suo linguaggio visivo e come si sviluppa?
<<Renato Guttuso disse, a riguardo delle opere d’arte, che un artista si deve riconoscere non dalla firma apposta sulla tela, ma dal quadro stesso: l’opera stessa, cioè, evoca la personalità, l’unicità e l’originalità del pittore; essa stessa ne è la “firma”. Per quanto mi riguarda, io certamente sono influenzato, nelle mie produzioni, dai miei studi. In particolare , la mia Laurea in Architettura traspare nei dipinti, sensibilizzandone l’armonia, l’equilibrio e la compostezza delle forme. Il linguaggio delle mie opere, poi , si sviluppa anche da un forte amore per la mia terra, la Sicilia, con le sue meraviglie e le sue paradossali debolezze. >>
Può svelarci il messaggio che ogni opera offre all’osservatore: esso è un “comune denominatore” o una “singolare e univoca rivelazione”?
<<Io do molto peso a ciò che comunemente viene definita “ispirazione”. Essa non sempre ti permette di proseguire con facilità il lavoro su una tela, specie se esso risulta più lungo e complesso del solito. Cercando sempre di dare all’opera in produzione il senso che al momento in cui l’ho pensata voglio darle, l’ispirazione si ferma, sospesa, e mi induce a produrre ciò che fino ad allora evoca quel senso: può essere una figura, un elemento architettonico o il semplice colore. Il desiderio di far emergere dal dipinto lo stato d’animo con cui l’ho pensato, a volte, resta quasi a mezz’aria, “librato”, incompleto per me, ma significativo per l’osservatore, che vuole razionalizzarlo per se stesso. Il messaggio che trapela, dunque, è qualcosa di astratto, di soggettivo, che varia a seconda di chi fruisce l’opera, che, in tal senso , si pone come “aperta “ a chi la osserva, suggerendo molteplici significati e sensazioni. Tuttavia, razionalizzare un’ispirazione, un’intuizione, secondo me, non è possibile nelle opere pittoriche, se non nelle tecniche e nell’accostamento dei colori. La magia dell’arte sta nel permettere all’osservatore di spaziare nei significati che egli percepisce consciamente dalla tela, quando un artista inconsciamenteve li ha impressi.>>
Le Sue produzioni pittoriche sono volutamente simboliche o prendono questa sfumatura solo all’osservazione attenta?
<<Le mie tele nascono secondo un’ispirazione, ma solo dopo possono acquisire un’accezione simbolica. Certamente è intenzionale, da parte mia, accostare, ad esempio un colore freddo, come il verde, ad un colore caldo , come il rosso, per esaltare l’attenzione al soggetto dipinto: questo lo notiamo, per esempio, nel quadro “La vespa rossa”. In questa tela, quindi, consciamente , accostando armoniosamente questi due colori, la mia intenzione è stata quella di creare una “vibrazione sensoriale e cromatica” che ristora l’osservatore, la cui mente, spesso, tende aridamente a vedere col “sapere” e non con il “sentire”.>>
Come si è posto il Suo confronto artistico negli ambienti culturali che hanno ospitato le Sue opere?
<<Nel momento in cui si affronta un tema, come quello dedicato all’antica Grecia e ai miti, proposto nella mostra itinerante partita dalla Galleria Koart, a Catania, e che si sposterà fino al Museo dei Mandralisca, a Cefalù, ci si deve confrontare con le caratteristiche peculiari e la simbologia che la tradizione, la storia e la letteratura codificano al soggetto rappresentato. Di conseguenza possono oggettivamente notarsi delle similitudini nei caratteri del soggetto che viene esposto nelle opere da parte dei vari pittori. Tali somiglianze, poi, si dissolvono empiricamente quando ogni artista, secondo il proprio linguaggio e la propria tecnica, imprime su tela il soggetto stesso. Tutto ciò si riconduce al fondamento che ogni artista è unico e riconoscibile, o, meglio, “inconfondibile”, con una “impronta” assolutamente originale, forgiata nello studio d’arte, ovvero nel cuore produttivo dell’artista. >>
Com’è nato il Suo ultimo progetto e come intende proporlo al pubblico?
<<Il mio ultimo progetto, che presenta come comune denominatore l’antica Grecia ed i suoi miti, nasce due anni fa , dopo la visita al Museo dei Mandralisca, stimolato dal magnifico quadro di Antonello Da Messina “L’ignoto” , dalle favolose gemme, di età Classica, collezionate dal Barone e da una delle Direttrici del Museo stesso. Una volta “assaporato” il catalogo delle gemme esposte, mi è balenata l’idea e, spinto dall’ispirazione, ho iniziato a dipingere miti e dèi partendo dalla “incastonatura pittorica” di una gemma per ogni quadro, come è evidente in Medusa o in Ares o nella Penelope, appunto, a cui sto attualmente lavorando.>>
C’è un’opera prodotta con maggiore difficoltà o una in cui maggiormente si sente rappresentato?
<<Ogni mia produzione ha una sua storia e connota uno stato d’animo ben preciso. Ogni volta che inizio a dipingere una tela nuova ho sempre la medesima “difficoltà”: far suonare e vibrare lo stato d’animo in cui è sorta l’ispirazione per quell’opera; condurla verso la direzione artistico-emotiva da cui è partita originariamente. L’ostacolo più grande è ammettere il momento in cui bisogna “fermare” il lavoro: capire che per quel dipinto tutto è compiuto e ogni altra aggiunta è superflua o deviante dall’idea ispirata di partenza. >>
Com’è nata la possibilità di esporre alcuni Suoi dipinti al Palazzo Beneventano di Lentini?
<<Tutto è nato nel momento in cui il Presidente di Italia Nostra Lentini, Giorgio Franco, mi ha contattato entusiasta di comunicarmi che l’antica sede nobiliare del Barone stava per essere riaperta al pubblico: quale migliore occasione se non aggiungere il mio segnale artistico all’interno di uno dei più begli ambienti storici e monumentali del nostro territorio? Dopo un sopralluogo e lo studio delle modalità espositive, finalmente alcune mie tele, insieme a quelle di altri artisti, sono state poste alla fruizione e all’osservazione di un pubblico locale, sempre più interessato e motivato a coglierne la magia e il linguaggio visivo.>>
Si congeda da noi l’artista Benedetto Poma, il cui indiscutibile talento è definito dalla scrittrice dell’editoriale Aliante, Simona Di Bella, come “capace di portare l’arte da una dimensione, in cui l’alfabeto pittorico contemporaneo incontra l’architettura classica e la scultura, in un luogo senza tempo”.
A cura di : Desirèe Proietti