Tutti desideriamo fare parte di un nucleo che ci ami, che ci supporti, che ci faccia sentire a casa
Con il saggio Famĭlia Daniela Montanari si conferma ancora una volta una scrittrice interessante e che sa come tenere incollato un lettore dalla prima all’ultima pagina. Ci fa riflettere con il suo testo e nel contempo ci aiuta a guardarci dentro. Per capire che cosa vogliamo davvero da noi stessi, da una relazione e soprattutto da quello che per noi oggi significa ancora essere una famiglia.
Daniela, un saggio incentrato sulla famiglia e su come sia cambiata la concezione di essa nel corso del tempo. Tale cambiamento quanto è connesso all’emancipazione femminile?
Credo che l’emancipazione femminile abbia giocato, e debba giocare, visto che ancora abbiamo tanti passi da compiere, un ruolo rilevante. Tuttavia credo che il cambiamento dipenda dall’evoluzione dell’essere, della persona, uomo e donna insieme. La donna si è emancipata velocemente proprio nelle famiglie in cui il padre era una persona evoluta.
La donna fino ai primi del 1900 era vista come l’angelo del focolare della casa e buona solo a fare figli e a provvedere alle faccende domestiche. Se nasceva ricca e/o nobile non le toccava nulla di tutto questo ma solo le frivolezze. Come si può far comprendere alle giovani di oggi quanto sacrificio c’è stato per ottenere un netto cambiamento in tale direzione?
Bellissima domanda. Come comunicare con le giovani donne è un bel mistero e credo che siamo ancora molto lontani dal risolvere. Ci sono stati moltissimi anni in cui abbiamo voluto essere amiche delle nostre figlie e non madri; abbiamo voluto sostituirci alla loro giovinezza, sembrare paradossalmente più giovani di loro, ballare, chattare, imitarle. Così come i padri con i figli maschi, imitarli. Palestrati, illampadati, braccialetti, sopracciglia tatuate. Credo che questo comportamento socio-culturale diffuso abbia messo in discussione un po’ il fatto che “i grandi sanno sempre come fare”. E se non abbiamo più il potere in mano del “sai? Un tempo non era così. Pensa, ci furono anni in cui…” facciamo fatica poi a trasmettere loro un valore chiamato Emancipazione.
Di contro però molti sostengono che fin troppo spesso la donna ha smesso di comportarsi come tale, nonché di essersi stancata di fare la mamma, la moglie e la figlia. È davvero così?
Non penso. Una volta che la donna si è smarcata dal ruolo domestico e ha iniziato a lavorare fuori, a desiderare di fare carriera, sia slittato in avanti il bisogno di diventare madre. Ma stancata, questo mai. È troppo un richiamo della natura. Forse si è madri, oggi, in modo “sbagliato” secondo la convenzione, si è madri di piante rampicanti che guai chi le tocca, si è madri di cani come fossero figli, si è madri di uomini immaturi e violenti, si è madri dei propri genitori, ma l’inenarrabile, il misterioso senso della vita, non priveranno mai la donna della voglia di dare la vita e prendersi cura di una figlia e di un figlio.
Altri ancora dichiarano che gode nel comportarsi da uomo e nel ricevere complimenti del genere, “ una donna con le palle”. Come è possibile tutto questo?
Come tutti sappiamo, ogni privazione porta all’eccesso. Potrebbe anche questo essere una prova del fatto che, dopo secoli di sottomissione, molte donne non siano riuscite a farsi ascoltare, a farsi valere, senza voler somigliare agli uomini. D’altronde, era l’unico specchio, l’unico modello al quale ispirarsi per molte di esse.
Secondo lei si è arrivati in certi casi al paradosso? O è forse la continua mania di vivere per definizioni nette e cliché che ci manda in confusione e ci porta pure a sparlare?
Un po’ l’uno e po’ l’altro. E senza dubbio, sparlare è il metodo più semplice col quale liberarci di ciò che abbiamo accumulato e che non desideriamo più.
Nonostante ci dichiariamo pubblicamente aperti a unioni civili, matrimoni arcobaleno etc poi nel sicuro delle nostre case e nella nostra intimità diciamo tutto il contrario. Perché tanta ipocrisia? Si pensa davvero così tanto all’apparire piuttosto che all’essere?
Sì, purtroppo sì. Mi spiace convenire con lei, vorrei poter scardinare questi dubbi e dirle che no, che invece stiamo andando avanti, che le persone sono libere di essere chi sono e di amare chi amano. Ma così non è. Non siamo pronti. La ragione cardine per la quale ho desiderato tanto scrivere Famǐlia è proprio questa: sostenere chi vorrebbe una famiglia diversa ma non ha il coraggio di affrontarne le conseguenze; stimolare chi vorrebbe creare una famiglia differente dal dogma, ma ha paura.
Tutti desideriamo fare parte di un nucleo che ci ami, che ci supporti, che ci faccia sentire a casa. Perché, sottostare al simbolo, anziché creare con amore la nostra famiglia ideale?
Perché?
I Social, quanta colpa hanno in tale direzione?
I Social sono responsabili nella misura in cui ognuno si correlaziona a essi senza capire che è una vetrina. I Social ci hanno aperto finalmente mondi inaccessibili, ma poi abbiamo delegato loro la nostra vulnerabilità, e questo forse andrebbe ridimensionato. Quindi concluderei dicendo che i Social hanno delle responsabilità, ma non la colpa di tutto.
Una settimana senza di essi, lei come la vivrebbe? Con che spirito accetterebbe in tal caso la sfida?
Circa una ventina d’anni fa erano molto in voga vacanze diverse, tipo in masserie in cui ti facevano lavorare, mungere, segare i prati eccetera, oppure settimane in malghe senza energia elettrica di notte e senza bagno in casa. Questo per onorare un ritorno al passato. Ma, vede, io in una casa che non aveva il w.c. all’interno delle mura, ci sono nata. Senza televisione ci sono nata, così come senza lavatrice, figuriamoci poi la lavastoviglie e il resto delle comodità. Quindi non andrei mai, ma proprio mai a una di quelle vacanze. Allo stesso modo, sono cresciuta senza i Social, scrivevo lettere a chiunque, da mia mamma ai miei innamorati, alle mie amiche. Lo faccio tuttora. Non la vivrei come una sfida, assolutamente. Semplicemente mi incuriosirebbe vedere gli altri. Come comunicherebbero le persone, senza i Social? Questo sì, mi piacerebbe vederlo.